[Conversazioni tra Wu Ming 2 e i bambini di Ussita]
Casetta Ruggeri, 3 maggio 2019
“Cantalamappa” è il soprannome di due anziani signori, Guido e Adele. Che cosa fanno i Cantalamappa? Viaggiano, vanno in un posto, esplorano luoghi, parlano con le persone che incontrano, guardano le mappe e raccolgono storie. Per questo gli amici li chiamano “Cantalamappa”, perché cantano le mappe, i posti, come i cantastorie cantano le storie. Raccontano quel che è successo in un paese, o quel che si racconta, oppure vanno in un posto, vedono come è fatto e si inventano una storia. Magari vedono una roccia che ha una forma strana e si inventano una storia sul come mai ha quella forma.
Una storia dei Cantalamappa che vi voglio raccontare riguarda l’isola di Pasqua, una piccola isola che si trova nell’oceano Pacifico, un’isola che fa parte del Cile e tutt’intorno lungo tutta la sua linea di costa ci sono delle statue, i moai. Sono delle faccione, spesso con il cappello, tutte rivolte verso l’interno dell’isola.
Quando i primi navigatori europei arrivarono nell’isola di Pasqua – non ce n’era mai stato uno prima di allora – scoprirono tre cose molto strane.
La prima cosa strana erano queste statue, erano alte come sei, sette persone, una in piedi sull’altra. Sono delle facce grandi come un piano di una casa, molto alte e fatte tutte di un unico blocco di pietra, pesantissime. Moai. Una cosa che i navigatori hanno scoperto quando sono arrivati a Rapa Nui – così si chiama l’isola grande nella lingua delle persone che ci abitano – è che la pietra con la quale sono fatti i moai viene estratta da una cava di roccia che sta al centro dell’isola. Essendo dei blocchi pesantissimi come hanno fatto gli abitanti di Rapa Nui a portarle sulla costa?
La seconda cosa strana che hanno trovato gli europei al loro arrivo sull’isola di Pasqua è che hanno trovato pochissime persone. Come hanno fatto poche persone a estrarre dalla roccia della cava al centro dell’isola dei pezzi di pietra grandissimi, a scolpirli come se fossero delle facce e poi a trascinarli fin sulla costa? Pensate che una statua di queste pesa più di un camion.
Avranno utilizzato delle macchine?
Delle macchine certo, ma non delle macchine a motore, non esistevano ai tempi dei navigatori con i grandi velieri. Non c’erano nemmeno le navi a vapore. Hanno utilizzato delle macchine particolari, molto strane.
L’enigma principale, all’arrivo dei navigatori sull’isola, era: che ci fanno tutte queste statue tutto intorno alla costa? Seconda questione: come mai sono così poche le persone sull’isola di Pasqua? Tante statue così grandi, tutte intorno all’isola – anche se piccolina – devono averle messe tante persone. Dove sono finite allora tutte queste persone?
La terza cosa strana è che tutte le altre isole, più o meno vicine a Rapa Nui, sono piene di foreste mentre su Rapa Nui ci sono pochi alberi.
Può essere che da lì se ne sono andate tante persone!
Infatti è quello che hanno pensato i navigatori arrivati sull’isola. Ma come mai se ne sono andate? Erano evidentemente persone che tenevano alla propria isola, se ne prendevano cura. Hanno messo tutte queste statue per renderla più bella, oppure…
Una delle prime idee che è venuta ai navigatori europei è stata che queste statue fossero per il popolo di Rapa Nui come dei guardiani, messi sulla costa, così che chi arrivava si prendeva paura e diceva: io su Rapa Nui non ci scendo! E infatti hanno scoperto molti anni dopo – imparando la lingua delle persone del posto – che queste statue rappresentavano dei vecchi capi tribù, degli eroi, delle persone importanti che gli abitanti dell’isola di Pasqua mettevano lungo la costa per intimorire chi arrivava da altre isole. Le statue sembravano dire: non vi avvicinate state attenti che qua c’è della gente forte, ci sono dei capi tribù importanti, non venite a farci del male.
Gli abitanti dell’isola possono aver trasportato le statue con gli alberi?
Questa è una prima risposta che si sono dati gli europei pensando che gli indigeni dell’isola di Pasqua avessero usato i tronchi degli alberi, segandoli, per farci scorrere sopra – come su un nastro trasportatore – le statue.
Come gli egizi per costruire le piramidi di Giza!
Esatto. Hanno fatto più o meno la stessa cosa, brava! Però, visto che queste erano davvero molto pesanti, tutte le volte che ci facevano rotolare sopra una statua, i tronchi si spezzavano e non potevano essere riutilizzati. Per ogni statua ci volevano dei tronchi nuovi.
Ecco perché l’isola era rimasta così vuota e senza alberi!
Segando tanti alberi, però, hanno distrutto l’intera foresta, dove abitano gli animali.
Forse, visto che non c’erano più né alberi né vegetazione, se ne sono andate anche le persone.
Esatto, erano persone che vivevano di pesca e di caccia, non essendoci più gli animali, non essendoci più gli uccelli – che loro di solito mangiavano – non essendoci più gli alberi con i quali costruivano anche le loro capanne, sono rimasti in un’isola praticamente deserta e se ne sono andati… Vi leggo solo la fine del racconto.
“Nell’isola erano rimasti solo centoundici abitanti. I moai invece, le statue, erano sempre là, e ci sono ancora, anche adesso che sull’isola è andata a viverci più gente, soprattutto dal Cile.
Adele mi ha detto che per lei i moai sono il simbolo di come si va a finire quando per la smania di costruire opere sempre più grandi si distrugge il luogo in cui si vive, al punto da non poterci vivere più. E ha aggiunto che andare a visitare l’isola di Pasqua è come guardare in uno specchio magico. Uno specchio che può farti vedere il passato, il presente, oppure il futuro del nostro pianeta. Dipende da come chi lo abita deciderà di comportarsi.”
Noi pensiamo che siano stati scemi gli abitanti dell’isola di Pasqua, a distruggere alberi su alberi per mettere tante statue intorno all’isola, però spesso ci comportiamo così anche noi, distruggiamo un posto per costruire delle cose molto grandi e poi ci accorgiamo che quello che abbiamo distrutto forse ci era utile, ci raccontava delle storie, ci faceva star bene e che quello che abbiamo costruito forse non è poi così utile.
Gli indigeni dell’isola di Pasqua hanno riempito la costa dell’isola di statue per spaventare i nemici perché pensavano che il pericolo sarebbe arrivato da fuori, dal mare, sarebbero stati degli invasori che andavano a conquistare la loro isola e invece se la sono distrutta da soli e se la sono distrutta per fare delle statue che avrebbero dovuto difenderla. E l’Isola di Pasqua racconta questa storia ai Cantalamappa, ad Adele e Guido.
Prima di raccontarvi un’altra storia, vorrei che mi raccontaste voi qualcosa di questo posto.
Come vi dicevo, i Cantalamappa vanno in giro e a volte si inventano delle storie, altre volte vedono una cosa strana e, siccome sentono e conoscono l’alfabeto dei luoghi, riescono a farsi raccontare le storie direttamente dai luoghi. Altre volte Adele e Guido se le fanno raccontare dalle persone che incontrano. Allora vorrei sapere da voi, c’è una storia che mi vorreste raccontare di questo posto? Mi piacerebbe che voi mi raccontaste una storia di Ussita, magari una storia del passato, come quella dell’isola di Pasqua oppure una storia del presente, come quella del Verme Mongolo della Morte, o ancora una storia del futuro, provando ad immaginare che cosa succederà in questo luogo. C’è una storia, anche piccolina, che mi potete raccontare per il mio librone dei viaggi?
Io ho una storia. La comunità di Ussita ha rimesso in vita una tradizione che si chiama Piantamaggio. La mattina del 30 aprile gli uomini del paese sono andati a cercare un faggio nel bosco. Quando noi bambini siamo tornati da scuola siamo andati tutti insieme a tagliarlo con la motosega, l’abbiamo portato in piazza a spalla, tutti in fila, e l’abbiamo portato in piazza. Abbiamo caricato il faggio in una panchina a riposarsi un po’ e le donne gli hanno tolto la corteccia. Poi io e Alberto siamo corsi a raccogliere un mazzo di fiori e lo abbiamo legato all’inizio della chioma, proprio sotto i primi germogli. Con l’aiuto delle corde il faggio è stato tirato su in piazza. Una volta piantato e ben ancorato ci siamo spostati tutti al bar e abbiamo cantato le canzoni della tradizione. Arrivato Renato, un signore del paese che ancora si ricorda cosa si faceva in passato, ci siamo incamminati tutti insieme verso le SAE a cantare queste canzoni, accompagnati da una fisarmonica e una chitarra. Finito il giro siamo rientrati al bar, abbiamo mangiato tutti insieme e noi bambini abbiamo ballato e giocato in allegria. Durante la serata Alberto ha raccolto molte lumache, mi sono unita a lui e insieme abbiamo iniziato un piccolo allevamento. Le abbiamo coccolate fino a mezzanotte.
Ma qualcuno vi ha detto perché il 30 aprile c’è bisogno di tirare su un albero al centro della piazza? Di solito le antiche tradizioni hanno un motivo. Perché un faggio e non una vasca piena d’acqua dove tutti si possono fare il bagno? … perché un faggio in piazza? Si tirava su un faggio per bucare il cielo e dal buco far scendere la pioggia? A maggio c’è bisogno di pioggia! È un buon motivo, no?
Un giorno siamo venuti qui con tutti gli anziani del paese e abbiamo chiesto a loro il perché di questa festa…. Le risposte sono state vaghe: visto che il faggio germoglia a maggio viene tagliato prima che germogli e issato in piazza. E poi, la sera del 30 aprile, nella tradizione del passato, si faceva la guardia a tutti i faggi piantati nelle varie frazioni per paura che i vicini lo tagliassero… c’era la guerra dei faggi, arrivavano anche quelli di Castello e Visso! Ogni frazione aveva un faggio, Calcara, Casali. Allora si faceva a gara tra frazioni a chi aveva il faggio più dritto!
Ma secondo voi, quando sarà stata la prima volta che si è issato il faggio? Anche se nessuno se lo ricorda ci sarà stato un momento in cui qualcuno ha deciso di andare nel bosco, tagliare il faggio e piantarlo in piazza. Non lo sappiamo, nessuno se lo ricorda, così come non si ricorderanno, tra millemila anni, perché il giorno del Piantamaggio si fa l’allevamento di lumache. Si domanderanno: perché c’è questa tradizione di piantare il faggio e cercare le lumache? Supponiamo che succeda tra duecento anni. I bambini del paese, sotto l’albero del Piantamaggio, raccoglieranno le lumache e chiederanno agli anziani di Ussita: come mai si fa questa cosa delle lumache? Eh, gli diranno, che ne sappiamo, sembra sia nata da un tale di nome Alberto. Vi pare una bella spiegazione? A me no. E nemmeno potranno rispondere che quella sera Alberto non aveva niente da fare, che aveva piovuto e si è messo a raccogliere lumache per noia. No, non va bene. Dobbiamo inventarci qualcosa, dare un motivo. Che storia vi inventereste?
Per non far arrampicare le persone sull’albero del Maggio, si cospargeva il tronco con la bava di lumaca, e così tutti quelli che si volevano arrampicare per rubare i premi dell’albero della cuccagna finivano per scivolare. Oppure per creare lo sciroppo di lumaca, la bevanda tradizionale del Piantamaggio! Oppure… sentite qua che idea! Si sa che a quelli di Visso fanno schifo le lumache per cui se disseminiamo di lumache tutto intorno al faggio di Ussita, quelli di Visso non ce lo vengono a tagliare… appena vedono una lumaca scappano a gambe levate! Abbiamo salvato l’albero dai Vissani!
Così come le oche del Campidoglio salvarono Roma, le lumache di Ussita hanno salvato il Piantamaggio.
[Wu Ming 2 è stato ospite in residenza negli spazi di C.A.S.A. dal 3 al 5 maggio 2019 per il progetto della guida di comunità, all’interno della quale sarà presente un suo scritto]
Progetto: ONCE APP_ON A TIME
Vincitore del bando “Sostegno ai giovani talenti”
Finanziato da: Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale
Soggetto Capofila: Associazione Socio-culturale Riverrun
Soggetti partner: Associazione culturale Omphalos – Associazione culturale Sineglossa
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