La montagna non si arrende
La montagna non si arrende

La montagna non si arrende

Aderiamo e rilanciamo l’appello di APE per una mobilitazione nazionale diffusa il 9 febbraio 2025.

Seguiranno aggiornamenti per il nostro territorio.

Le terre alte bruciano. Non è una metafora. Lo zero termico a 4200 metri in pieno autunno, i ghiacciai che si sfaldano, il permafrost che si scioglie, le alluvioni devastanti sono la realtà quotidiana delle nostre montagne. Una realtà che stride con l’ostinazione di chi, dalle Alpi agli Appennini, continua a proporre un modello di sviluppo anacronistico e predatorio, basato su pratiche estrattive e grandi-eventi come i giochi invernali.

La monocoltura turistica sottrae risorse economiche pubbliche a beneficio di pochi, a scapito di modelli plurali e alternativi di contrasto allo spopolamento delle terre interne e di convivenza armonica in territori montani fragili e unici.

A un anno dall’apertura dei Giochi di Milano-Cortina 2026, lanciamo un appello per una mobilitazione diffusa in montagna che attraversi l’intero arco alpino e la dorsale appenninica domenica 9 febbraio 2025.

Leggi e diffondi l’appello: https://ape-alveare.it/la-montagna-non-si-arrende/
Dai la tua adesione e i tuoi contatti scrivendo a milanoape@gmail.com

La montagna è di chi la ama, la rispetta e la difende, che ci viva da generazioni o che la frequenti con consapevolezza.
La montagna non si arrende. E noi con lei.

Perché mobilitarsi ora

Il tempo delle mediazioni è finito. Gli scienziati ci dicono che l’ultimo turista sugli sci arriverà nel 2040. Eppure si continuano a costruire nuovi impianti di risalita, a scavare bacini per l’innevamento artificiale, a devastare versanti per inutili collegamenti tra comprensori. Dalle Alpi agli Appennini, dalla Val di Susa alla Basilicata, assistiamo allo stesso copione: opere nocive e imposte dall’alto, trivellazioni, cementificazione, spopolamento.

In un momento in cui molte zone d’Italia sono colpite da disastri ambientali, con infrastrutture idriche compromesse e argini dei fiumi inadeguati a contenere le sempre più violente (e frequenti) onde di piena causate dagli eventi climatici estremi, le ingenti risorse economiche destinate ai Giochi Olimpici sulle Alpi e a nuovi impianti sugli Appennini, appaiono come sprechi ingiustificabili di fronte all’urgenza di interventi di tutela e manutenzione dei territori.

In questo quadro ed in contrasto con i valori inclusivi e sociali dello sport popolare – portabandiera dell’accessibilità allo sport, dell’integrazione e della solidarietà – le Olimpiadi rappresentano un modello che sembra incarnare valori opposti quali competizione, esclusività e consumo. In questa prospettiva, i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026 appaiono come un evento lontano dalle necessità delle comunità, esponendo la montagna e i suoi abitanti a una pressione antropica non sostenibile. Le opere infrastrutturali previste per i Giochi sono il simbolo più tangibile del totale distacco dalle problematiche reali delle aree montane.

La montagna non è un parco giochi da sfruttare fino all’ultimo respiro. È un ecosistema fragile, la nostra principale riserva d’acqua, un patrimonio di biodiversità e cultura insostituibile.

Non c’è più tempo per rimandare. Le scelte che facciamo oggi sulle terre alte – ogni nuova cava, ogni nuovo impianto, ogni colata di cemento, ogni bacino artificiale – peseranno per centinaia di anni sul futuro dei territori e delle comunità. Il ghiaccio che si scioglie oggi non tornerà domani. Il suolo che cementifichiamo oggi resterà ferito per secoli. Non torneranno i larici.

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